Azzurro oriundo, ma serve in un Mondiale?

Da Demarìa a Thiago Motta: splendori e miserie dei naturalizzati italiani. Spesso gli stranieri veri li avevamo in casa
Azzurro oriundo ma serve in un Mondiale
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«Persona che è nata all’estero da genitori italiani emigrati; cittadino straniero che ha avi italiani (e può essere assimilato ai cittadini italiani nell’ambito dei regolamenti sportivi, in partic. per quanto concerne il tesseramento e l’appartenenza a una squadra). Voce dotta, lat. oriundus, gerundio di orīri [nascere].» Così, alla voce “oriundo”, il Battaglia, ovvero il Grande Dizionario della Lingua Italiana, vol. XII, ORAD-PERE, UTET editore. Sono due gli oriundi nei 23 giocatori convocati da Prandelli per i Mondiali di calcio in Brasile: Thiago Motta, brasiliano di origini polesane – il bisnonno emigrò a inizio ‘900 emigrò da Polesella, provincia di Rovigo, nello stato di Sao Paulo – e Gabriel Paletta, doppia cittadinanza, argentina e italiana, grazie al bisnonno calabrese Vincenzo, emigrato da Crotone a Buenos Aires.

Prima di Thiago Motta e Gabriel Paletta si contano undici oriundi che hanno preso parte alle fasi finali dei Mondiali con la maglia azzurra. E di questi undici, ben sette hanno portato l’Italia al titolo. Insomma, statisticamente gli oriundi in Nazionale sembrano un affare. Ma, come per il colesterolo, ci sono gli oriundi buoni e quelli cattivi: quelli dei Mondiali in Cile, nel 1962, per esempio, non fecero molto bene alla salute degli azzurri.

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La Nazionale di Pozzo prima della finale contro la Cecoslovacchia al Mondiale del '38. Luis Monti è il 2° da sinistra, Raimundo Orsi il 5, Enrique Guaita il 7°

La Nazionale di Pozzo prima della finale contro la Cecoslovacchia al Mondiale del '38. Luis Monti è il 2° da sinistra, Raimundo Orsi il 5, Enrique Guaita il 7°[/caption]

1934. Sudamerica TricolorPrima partecipazione e prima vittoria dell’Italia alla Coppa del Mondo. Sono ben cinque i naturalizzati italiani: quattro argentini e un brasiliano. Atilio José Demaría, quasi omonimo del mancino madridista che giocherà il Mondiale con la maglia albiceleste, era nato a Buenos Aires nel 1909. Arrivò all’Ambrosiana Inter nel 1931, dopo aver aver preso parte l’anno precedente alla finale di Coppa del Mondo che l’Argentina aveva perso contro i padroni di casa dell’Uruguay. In maglia nerazzurra disputò, al fianco di Peppino Meazza, quattro campionati, fino al 1936. Tornato per un paio di stagioni in Argentina, fece ritorno all’Ambrosiana nel 1938 e vinse due scudetti. Nel 1934 Pozzo lo convocò nella rosa della squadra che vinse il Mondiale, ma lo schierò in campo solamente una volta, nella ripetizione del quarto di finale contro la Spagna, a Firenze. Con le sue 295 presenze (e 86 gol), Demaría è il secondo giocatore argentino, dopo Javier Zanetti, con più presenze in maglia dell’Inter.

Arrivato nel 1933 dall’Estudiantes alla Roma, Enrique Guaita, fu invece un vero protagonista della nazionale di Pozzo ai Mondiali del 1934. Mise infatti a segno il gol dell’1-0 con cui l’Italia eliminò il Wunderteam austriaco e, in finale contro la Cecoslovacchia, fornì l’assist ad Angelino Schiavio nel gol del 2-1. Il Guaita azzurro, 10 presenze e 5 gol tra il 1934 e il 1935, fu una meteora. Nel 1935, insieme ad altri due oriundi argentini della Roma, Scopelli e Stagnaro, improvvisò una rocambolesca fuga dall’Italia: si disse per sfuggire a un’alquanto improbabile chiamata alle armi per l’imminente guerra d’Etiopia. La stampa di regime gli scatenò contro la pubblica infamia di vili traditori e, per sovrappiù, li accusò di traffico illecito di valuta. Di Guaita resta un record imbattuto nel campionato italiano, per i tornei a sedici squadre: nella stagione 1934-35 mise a segno 28 reti in 29 partite. Altro protagonista del Mondiale del 1934 fu Raimundo “Mumo” Orsi. Orsi, nato nel 1901 ad Avellaneda, aveva strabiliato con la nazionale argentina al torneo olimpico di Amsterdam, nel 1928, e la Juventus lo comprò a peso d’oro, e non senza difficoltà, visto che riuscì a tesserarlo soltanto per la stagione 1929-30. Agile ala sinistra tutta tecniche e finte, estroso in campo e fuori – suonava il violino e a Torino era assiduo frequentatore notturno di tabarin – Orsi portò la Juventus a vincere i famosi cinque scudetti consecutivi, dal 1931 al 1936. Nella finale dei Mondiali, pareggiò il gol dei cecoslovacchi, prima della rete decisiva di Guaita: in maglia azzurra, ne segnò altri 12, in complessive 35 partite.

Al seguito di Orsi, alla Juventus, nel 1931 arrivò Luisito Monti, che di Orsi era l’esatto contrario. Se Mumo era l’estro, Monti, nato a Buenos Aires da genitori romagnoli, era la concretezza. A dispetto del diminutivo del nome, era soprannominato per la prestanza fisica e per l’incrollabile resistenza doble ancho, “armadio a doppia anta”. Da centromediano, sapeva impostare l’azione con aperture all’ala lunghe quaranta metri e, nello stesso tempo, stroncare l’azione del centravanti avversario con interventi al limite del codice penale. Come Demaría aveva giocato con la maglia dell’Argentina la finale del Mondiale del 1930. Il quinto oriundo dell’Italia di Pozzo ai Mondiali del 1934 era il brasiliano Guarisi, ala della Lazio. Giocò una sola partita, quella stravinta contro gli Stati Uniti per 7 a 1, e più che altro viene ricordato per la stravaganza del suo nome, Amphilóquio Marques Guarisi, che in Brasile venne sveltito in “Filò”, ma che all’anagrafe italiana fu registrato come Anfilogino. Più sillabe che presenze.

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L'Italia vincitrice dei Mondiali del '38 in Francia. Michele Andreolo è il primo sulla destra della fila degli accosciati

L'Italia vincitrice dei Mondiali del '38 in Francia. Michele Andreolo è il primo sulla destra della fila degli accosciati[/caption]

1938. Andreolo, l’equilibristaAi Mondiali del 1938, Vittorio Pozzo si “accontentò” di un solo oriundo: il ruolo di Monti venne preso da Michele Andreolo, centromediano del “Bologna che tremare il mondo fa” e che vinse quattro scudetti tra il 1935 al 1941. Uruguayano, nato a Carmelo, nel dipartimento di Colonia, Miguel Angel Andriolo Frodella aveva nonni originari di Valle dell’Angelo, nel Salernitano. Racconta Gianni Brera che Andreolo aveva un modo tutto suo per convincere Renato Dall’Ara, presidente del Bologna, a pagare i premi partita. «Quando il presidente reniteva a sciogliere i cordoni della borsa. Andreolo riusciva a sgomentarlo camminando perigliosamente sulla balaustra della sede: “Mo scendi bene”, implorava Dall’Ara, “che se cadi t’amazzi”. “Guardi ben acà, comendatore,” ciangottava Andreolo facendo precario equilibrismo a braccia larghe, “guardi bene come cammino se non mi paga i premi”. Quando era giunto allo stremo della resistenza, Dall’Ara si arrendeva con un sospir: toglieva il portafogli dalla tasca e Andreolo, con un balzo, si metteva allegramente in condizioni di riscuotere.»

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Omar Sivori durante Italia-Svizzera al Mondiale del '52

Omar Sivori durante Italia-Svizzera al Mondiale del '52[/caption]

1962. Maschio, Sivori, Altafini e Sormani, oriundi e mazziatiDopo il fallimento dei Mondiali del 1958, prima e unica volta in cui l’Italia non riuscì a qualificarsi per la fase finale, la male assortita coppia di commissari tecnici, Paolo Mazza, presidente della Spal, e Giovannino Ferrari, già mezzala della nazionale di Pozzo due volte campione del Mondo, nel 1962 tornarono ad attinger a piene mani ai naturalizzati: due argentini, l’atalantino Humberto Maschio e lo juventino Omar Sivori; e due brasiliani, il milanista José Altafini e il mantovano Angel Benedicto Sormani. La spedizione azzurra in Cile, dopo lo 0-0 d’esordio con la Germania Ovest, naufragò nella seconda partita proprio contro i padroni di casa, in quella che viene ricordata come “la battaglia di Santiago”. In quella specie di corrida, che vide i nostri soccombere alle provocazioni e alle intimidazioni cilene tollerate dall’ineffabile arbitro inglese Aston, due erano gli oriundi in campo: Maschio, argentino di Avellaneda, ma di origini lombarde, fu quello che subì più di altri la violenza degli avversari. L’ala sinistra cilena, Leonel Sanchez, nel corso della mischia che seguì l’espulsione di Ferrini per fallo di reazione, sferrò a Maschio un poderoso pugno che gli ruppe il setto nasale. José Altafini, che quattro anni prima con la nazionale brasiliana aveva partecipato e vinto ai Mondiali di Svezia, non godeva di grande fama di combattente: “Conileone” era il soprannome che gli aveva affibiato Gipo Viani al Milan. Facile immaginare che nella battaglia di Santiago non si sia distinto per verve agonistica: Brera racconta che sembrava molto più allenato al poker che a un match di calcio senza esclusioni di colpi. Prima della fine del primo tempo, l’Italia si trovò in nove uomini, per una seconda espulsione, quella a Mario David. In chiusura di match i cileni passarono due volte: 2-0. A nulla valse vincere per 3-0 il terzo match contro la Svizzera, dove tornò a giocare Omar Sivori, accantonato dopo la partita contro la Germania anche a causa di un suo sciagurato errore sottoporta – la palla-gol gli capitò per sventura sul piede sbagliato, il destro… - insieme a Angel Benedicto Sormani, attaccante brasiliano del Mantova. Il nonno di Sivori era un ligure di Cavi di Lavagna, e la nonna abruzzese; Sormani era nipote di emigrati dalla Garfagnana (i nonni paterni) e dal Polesine (i nonni materni).

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Camoranesi contro la Nuova Zelanda al Mondiale sudafricano del 2010

Camoranesi contro la Nuova Zelanda al Mondiale sudafricano del 2010[/caption]

2006. La coda di CamoranesiDopo il fallimento della nazionale in Cile dovranno passare ben 44 anni prima di rivedere un oriundo vestire la maglia azzurra a un Mondiale. In Germania, nel 2006, tocca a Mauro German Camoranesi, ala della Juventus, e italo-argentino di terza generazione: un suo nonno marchigiano emigrò a fine ‘800 da Porto Potenza Picena, in provincia di Macerata, in Argentina. Camoranesi vince il Mondiale e lo festeggia sul campo tenendo fede alla promessa fatta ai compagni: il taglio della coda di capelli. Una sedia viene posizionata sul dischetto del rigore da cui l’Italia ha appena battuto in finale la Francia e Massimo Oddo, munito di forbici da parrucchiere, provvede al taglio. Lo “scalpo” di Camoranesi resta uno dei simboli della sorprendente vittoria della nazionale di Lippi. Camoranesi è anche il calciatore oriundo con il record di presenze in Nazionale: 55 e 5 gol.

Pare comunque che, statisticamente, gli oriundi convocati per i Mondiali facciano bene alla causa. Ben 7 oriundi su 11 tornarono con la Coppa. Non resta che sperare quindi che a metà luglio, a Polesella e a Crotone, luoghi di origine degli antenati di Thiago Motta e Gabriel Paletta, si torni a festeggiare con un motivo in più.