Fabio Mengozzi, 42 anni, è pianista e compositore. Da anni compone facendo costante riferimento alla corrispondenza tra significati simbolici dei numeri e linguaggio musicale, applicando rapporti matematici come la sezione aurea o la serie di Fibonacci oltre agli strumenti consolidati del contrappunto. Questo gli è valso il titolo di «compositore pitagorico». Suoi brani sono stati incisi da vari solisti e sono disponibile in rete, e nel 2018 ha pubblicato l’album per pianoforte solo «Mistero e poesia» (Stradivarius) di cui è autore e interprete. Quest’anno ha attuato una «svolta» elettronica pubblicando alcuni brani. Il primo è «Orpheus», ispirato al mito greco della musica per eccellenza. Più recente è «Via Crucis», la cui copertina è opera dell’artista astigiana Lia Rinetti. Entrambi gli album sono disponibili sulle principali piattaforme digitali. Brani complessi e ricchi di suggestioni, dal linguaggio comprensibile all’ascoltatore meno abituato al repertorio contemporaneo, che però lo spingono verso nuovi orizzonti, senza vincolarlo al concetto di «musica a programma».

Fabio Mengozzi e la copertina di "Via Crucis"

 

Finora ha scritto per strumenti tradizionali e soprattutto per il pianoforte, il suo strumento. Come è arrivato alla musica elettronica?

«Alla base c’è stato il desiderio di trovare ulteriori possibilità espressive oltre quelle offerte dagli strumenti musicali, ma anche la volontà di esercitare un maggiore controllo sul risultato ultimo del processo creativo, ciò che si consegna all’ascoltatore».

Come intende lo strumento elettronico? È una ricerca sul timbro o c’è altro?

«Lo strumento elettronico come ogni innovazione tecnologica deve essere al servizio dell’uomo, non viceversa. In un’epoca in cui la digitalizzazione, la robotica e gli algoritmi pervadono la nostra quotidianità in modo talvolta persino eccessivo, col rischio di renderci dipendenti dalle macchine, io voglio andare nella direzione opposta: il mio intento è quello di piegare le tecnologie alle mie esigenze e riappropriarmi del dominio e del controllo dell’uomo sulla macchina. Il contrario è invece pericoloso e deprecabile».

Quali possibilità si aprono con l’elettronica?

«Sono tantissime, è come disporre di una tavolozza di colori inesauribile. Con l’ulteriore vantaggio di poter decidere il momento esatto in cui il risultato finale è raggiunto e fissarlo in uno stato di immutabilità costituito dal file audio».

Quale percorso ha fatto per comporre con questo metodo?

«All’elettronica mi sono avvicinato davvero recentemente e senza aver mai frequentato corsi; l’ho fatto da autodidatta, a differenza di tutti gli altri ambiti musicali di mia competenza».

Utilizza metodi particolari per la costruzione dei timbri?

«Sì, procedo anche registrando suoni ambientali che poi manipolo sino a quando trasfigurano e assumono i connotati di quanto necessito per il mio brano. Si tratta di un lavoro meticoloso che richiede molta dedizione».

Perché ha scelto un tema classico come il mito di Orfeo, e la Via Crucis?

«I temi classici sono una costante nella mia produzione, tanto che ho composto brani intitolati Icarus, Ananke, Phoenix e Sfinge. L’aspetto spirituale, poi, è qualcosa che ritengo imprescindibile, perché è la sostanza stessa di ciò di cui si occupa un artista».

Che cosa le interessava mettere in risalto della vicenda di Orfeo?

«Orfeo rappresenta una sintesi tra apollineo e dionisiaco, ma anche ciò che reputo la cosa più importante nell’esistenza umana: l’amore. Il mito offre poi molti altri spunti tra cui quello della catabasi della discesa nelle terre infere ed esalta le proprietà magiche del suono».

Qual è l’argomento che vuole sottolineare in Via Crucis?

«Ho voluto rappresentare il meschino perpetuarsi della violenza e del linciaggio che l’umanità riserva ai giusti di ogni epoca».

Perché ha scelto il tema della Via Crucis e non della Passione, che ha una lunga tradizione musicale?

«Forse sembrerà banale, ma è proprio questo il motivo: disponiamo di molte Passioni, dai capolavori bachiani sino al contemporaneo Arvo Pärt, ma non altrettanto si può dire di composizioni modellate sulle stazioni della Via Dolorosa, di cui comunque è ben nota la versione di Liszt».

Nella sua Via Crucis c’è una stazione in più rispetto a quella canonica, l’orto del Getsemani. Come mai?

«Attraverso quel brano ho pensato di introdurre l’ascoltatore al senso della vicenda. Che ha origine proprio da quel momento di contemplazione e di raccoglimento nel buio della notte: una situazione di stasi che precede i fatti».

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